Scrivere con il cuore

Luca Favaro

Chi sono



Sono nato a Treviso nell'ormai non più vicino 1969. Sono sposato e ho due figli. Infermiere dal 1990, ho prestato servizio in ospedale nei reparti di Lungadegenza, Medicina, Ortopedia e Urologia, in casa di riposo nel nucleo per pazienti malati di demenza, nell'assistenza domiciliare ai malati terminali di cancro con l'associazione Advar di Treviso.

Oltre a questo sono piuttosto attivo nel volontariato; per diversi anni ho fatto il volontario presso una comunità per disabili, oltre a questo, spesso presto aiuti di tipo infermieristico a chiunque si trovi in un particolare momento di difficoltà. Sono stato piuttosto attivo nell'ambito degli Esercizi spirituali nella Vita Ordinaria (EVO), e in varie attività parrocchiali. Adoro la musica di tutti i tipi: dalla sinfonica al rock, dall'heavy metal al jazz, dal gospel e spiritual alla liturgica, dal blues alla new-wave, suono la chitarra e il pianoforte da autodidatta, ho cantato nel coro Gospel Sonoria e nel coro Giovanidentro della parrocchia di Breda di Piave (Treviso). Nel 2016 ho fondato i "Luca and Friends", gruppo musicale con lo scopo di accompagnare lo spettacolo teatrale tratto dal mio libro Il tempo senza ore con musiche e canti e tema. I componenti erano:

Luca Favaro, ovvero il sottoscritto, tenore e solista, Massimo Toffoli, basso e solista. Giulia Favaro, violino e voce solista. Maria Feltrin, pianoforte. Francesco Maschio, chitarra.

Dal 2009 sono piuttosto attivo come scrittore. Ho pubblicato tre raccolte di racconti e un romanzo, attualmente ho diversi progetti tra i quali un libro di poesie, un nuovo romanzo e nuovi racconti.

Mi piace molto studiare inglese e adoro la California, in modo particolare Los Angeles, anche se devo dire che sono stato particolarmente conquistato da Boston in un viaggio recente negli Usa. Adoro anche leggere e scrivere.  

A Giugno 2019 io e la mia famiglia ci siamo trasferiti a Thousand Oaks, contea di Ventura in California. Attualmente lavoro come Medication Technician presso la casa di riposo Belmont Village in Thousand Oaks.


Leggi un estratto da Il tempo senza ore


Ritornò a casa. Aveva aspettato che Margot uscisse per fare la spesa, ed era andato dal neurologo di nascosto. Non voleva preoccuparla ulteriormente.

Salì in camera da letto. Quel dottore gli aveva letteralmente sbattuto in faccia che era un uomo con zero aspettative di sopravvivenza. Era andato da lui nella speranza di avere qualche parola di conforto e invece, se prima si sentiva spaventato, adesso era terrorizzato. Si sedette sulla poltrona guardando la cuccia di Dock, poi lo sguardo gli cadde su un vecchio album di foto. L'aprì a caso. La recita di Natale in Terza Elementare. Riusciva a rimembrare perfettamente tutto a distanza di quarant'anni. Ricordava specialmente quanto male ci era rimasto constatando l'ennesima assenza di suo padre. Continuò a far scorrere le pagine incontrando le foto dei vecchi amici d'infanzia. Chissà dov'erano finiti? Aveva rotto con la maggior parte di loro, non per incompatibilità, ma perché la sua carriera di musicista l'aveva totalmente assorbito proiettandolo in un altro mondo.

La festa di laurea di sua sorella Anita, che era diventata un avvocato fallito, - a dire la verità - perché non era riuscita a trovare lavoro e nemmeno ad aprirsi uno studio privato. Però suo padre quella volta c'era. Così come alla laurea di suo cugino Sergio.

Continuò a lasciar scorrere le pagine della sua vita tra le dita delle mani. Il giorno del diploma al Conservatorio, i concerti del coro, i nipoti, i coristi, Dock, o Cristo, quanto gli mancava Dock! Non poté fare a meno di versare un paio di lacrime pensando a lui.

Alzò lo sguardo verso il grande poster raffigurante il coro che si esibiva in un teatro, con lui di spalle che lo dirigeva. Al fianco i suoi mille diplomi, anni di studi e sacrifici. A cos'era servito? Tutto era destinato a scomparire nel nulla. Quante rinunce, quanta sofferenza. Per chi?

A lato dei diplomi c'era la grande foto in bianco e nero di sua madre da giovane. Una donna meravigliosa, davvero. Suo padre aveva saputo scegliere bene, ma quel volto sorridente che lasciava a malapena trapelare un'ombra d'impercettibile tristezza, lo disturbava. Si alzò in piedi guardandosi allo specchio. Si rese conto di essere dimagrito, soprattutto le guance erano incavate. E sì che l'appetito non gli mancava, e negli ultimi giorni, com'era di consuetudine durante le feste di Natale, aveva mangiato come un maiale. Si osservò intensamente, iniziando a scorgere nei suoi occhi una luce che pareva sopita. Qualcosa stava cambiando, si stava spegnendo.

«Sei una merda!» disse con disprezzo all'immagine riflessa allo specchio. «Merda!»

Cos'era stata la sua vita? Uno schifo! Una torta di merda di cui l'Alzheimer costituiva la ciliegina.

Prese il ritratto di sua madre e lo scaraventò per terra, sentendo il rumore del vetro che andava in frantumi. Adocchiò il poster del coro. Lo afferrò e cominciò a strapparlo. Si sentì pervaso da un desiderio di violenza. Agguantò i due diplomi lanciandoli con furore in mezzo al corridoio. Poi fu la volta dello specchio: lo gettò verso il bagno distruggendolo, incurante dei sette anni di disgrazia conseguenti. Poteva capitargli qualcosa di peggio?

Agguantò la mazza da baseball appesa al muro che gli aveva regalato uno dei suoi allievi. L'aveva sempre considerato un regalo insulso per un musicista, ma in quel momento gli tornò utile per percuotere con violenza muri e suppelletili. In preda a un eccesso di rabbia, brandì la mazza a destra e a manca senza controllo, avvertendo il rumore del legno dei mobili che si rompeva. Lanciò un altro grido pieno di collera. Doveva essere lui a fare a pezzi la sua vita insulsa, non il male. Si arrestò di colpo. La cuccia di Dock. No. Quella era sacra, non si toccava.

«Amore! Mio Dio! Cos'è successo?»

Margot, con gli occhi spalancati che esprimevano un qualcosa che andava oltre lo spavento e lo sconcerto, gli stava davanti.

«Ecco... io... io... Non voglio morire!»

Luca Favaro scrittore/ Tutti i diritti riservati
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